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Comunicato Stampa congiunto Libera Roma e Proteo Fare Sapere Lazio

In aumento la violenza tra i giovani: quale risposta può dare la scuola?

COME DECOSTRUIRE CODICI VIOLENTI A PARTIRE DALLA SCUOLA?
Il seminario “Devianze e fenomeno mafioso: il ruolo di prevenzione della scuola” nasce da una crescente preoccupazione per l’aumento della violenza tra ragazze e ragazzi, spesso collegata alla criminalità organizzata che agisce nei loro quartieri. Per questo Libera Roma e Proteo Fare Sapere Roma Lazio hanno creato un momento di analisi del fenomeno e relative strategie di contrasto. L’incontro si è tenuto il 9 dicembre 2024 presso Extra Libera: un bene confiscato alla criminalità organizzata, ora sede di Libera e centro multimediale per lo studio e l’approfondimento di mafie e
corruzione.
La carenza di opportunità e le povertà educative costituiscono un terreno fertile per l’infiltrazione e lo sviluppo delle organizzazioni criminali. Le mafie portano avanti un processo diseducativo costante che passa attraverso i luoghi dell’informalità, sfrutta le fragilità e le solitudini. I sistemi mafiosi “educano” alla violenza e alla prevaricazione, al denaro come valore assoluto. Questa diseducazione è ormai talmente pervasiva da
imporci con urgenza una riflessione e una risposta da costruire in rete.

Come possiamo insegnare la nonviolenza a ragazze e ragazzi immersi in una società pervasa da un bellicismo crescente? Qual è il ruolo della scuola in questo contesto? Abbiamo provato a rispondere a queste domande insieme a Vanda Fontana, Professoressa, Psicologa e Componente del CTS Proteo Roma Lazio, Mariano di Palma, Ufficio di Presidenza di Libera Contro le Mafie, Pasquale Pugliese, Coordinamento nazionale Movimento Nonviolento e in compagnia di tante e tanti insegnanti della nostra regione.

La povertà educativa, fenomeno più ampio della semplice dispersione scolastica, è strettamente connesso alle caratteristiche del contesto territoriale in cui ragazze e ragazzi crescono e ad un modello educativo non inclusivo. Quest’ultimo genera disinteresse e indifferenza nei confronti del sapere e delle relazioni, promuovendo l’idea che la scuola sia un obbligo da poter abbandonare al raggiungimento della maggiore
età.
Ragazzi e ragazze che vivono una situazione di esclusione sociale senza la possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare i propri talenti e le proprie aspirazioni, percepiscono che sia possibile emergere solo attraverso gesti di prevaricazione e violenza. Nel ragionamento più ampio sulla povertà educativa, questo fenomeno è alimentato da una povertà non solo materiale, ma anche relazionale, oltre che da una crisi della genitorialità e delle istituzioni. La mancanza di riferimenti culturali, l’azione solo repressiva delle forze dell’ordine e la ghettizzazione sociale contribuiscono
a creare un ambiente in cui i giovani si sentono emarginati e cercano riconoscimento attraverso comportamenti violenti. Etichette e stereotipi li imprigionano in ruoli predefiniti, mentre la violenza diventa un modo per affermare la propria identità e autodeterminarsi nel contesto che si vive. Talvolta i ragazzi attraverso la violenza ci chiedono di essere
visti, ci ricorda Mariano Di Palma, Ufficio di Presidenza di Libera.

In questo contesto i minori non possono diventare oggetto della nostra attenzione solamente dopo aver commesso un reato. Troppo spesso, per risolvere queste problematiche sociali, si adoperano strategie basate esclusivamente sull’aumento della repressione, su tutte lo strumento della detenzione; la complessità del fenomeno, invece, richiederebbe una strategia pubblica che metta in sinergia scuole e attori sociali del territorio per accompagnare ragazze e ragazzi nella crescita e fornirgli
strumenti per decostruire codici e linguaggi violenti.
La scuola affronta una sfida fondamentale e trasversale alle materie curriculari: portare avanti un’educazione di senso opposto a quella mafiosa e violenta, educare al disarmo e a relazioni basate su dialogo e consenso.
Pasquale Pugliese, ricercatore e autore del Movimento Nonviolento, ci ricorda che la violenza esplicita è solo la punta dell’iceberg: alla base c’è una violenza culturale e strutturale, ed è su quella che bisogna agire. “È necessario educare ragazze e ragazzi alla complessità – afferma – alla capacità di vedere i problemi nella loro dimensione più profonda e ampia, in quanto cercando soluzioni semplici a problemi complessi si può
cadere in una soluzione violenta. È importante inoltre educare i giovani al pensiero critico, ‘l’obbedienza non è una virtù’, ci diceva Don Lorenzo Milani, ed educare al pensiero critico può aiutarli a trasgredire codici violenti. Dobbiamo poi far percepire ai giovani che esiste la possibilità di cambiare le cose, quando si percepisce questa possibilità si riduce l’uso della violenza, spesso ultimo stadio di una situazione di impotenza.

Vanda Fontana, psicologa e componente del CTS Proteo Fare Sapere sottolinea che l’utilizzo di modalità violente riguarda le relazioni, non è atavicamente intrinseco nei ragazzi come si credeva anticamente. Per questo è necessario ripartire proprio dalla relazione che come insegnanti costruiamo con ragazze e ragazzi. Vi è una differenza tra violenza e conflitto, quest’ultimo è una cosa sana sulla quale si può lavorare, la violenza supera la capacità di stare sullo stesso piano, rimanda ad un
rapporto non paritario. Se si è consapevoli di stare nel conflitto, se si educano i ragazzi ad affrontarlo, si possono generare dinamiche nonviolente.
In questo scenario che risposta possono dare la scuola e gli attori sociali di un territorio?
Danilo Dolci ci ha lasciato un’importante eredità: la distinzione tra istruire ed educare. Istruire significa trasmettere conoscenze, mentre educare comporta un percorso più profondo, un accompagnare i giovani nel loro cammino, stimolandoli a porsi domande e a riflettere. In questa prospettiva, la povertà educativa diventa una sfida collettiva da affrontare insieme, cercando di comprendere le esigenze dei ragazzi e di offrire loro gli strumenti necessari per costruire un futuro migliore.
I giovani, spesso vittime di stereotipi e condizionati da un senso di fatalismo, hanno bisogno di relazionarsi ad adulti credibili. La scuola, in particolare, ha un ruolo fondamentale nel promuovere una cultura del rispetto, contrastando la diffusione di modelli criminali come le mafie, che vengono percepite come un destino ineluttabile.
Mariano Di Palma, Ufficio di Presidenza di Libera, ci invita come educatori ed educatrici, insegnanti e attivistə a chiederci insieme come prenderci carico di ragazze e ragazzi, a costruire in rete e a pretendere dalle istituzioni una strategia politico-culturale radicalmente alternativa attorno alle scuole e ai territori, perché quando la singola azione si inserisce in una presa in carico complessiva di ragazze e ragazzi si esce dall’ottica del “progetto” e si riesce davvero a costruire l’alternativa. Si possono trasformare i luoghi di marginalità in spazi straordinari di invenzione, in cui immaginare
un paese diverso, dove non ci sia spazio per mafie e prevaricazione.
Come Libera Roma e Proteo Fare Sapere Lazio riteniamo urgente una risposta strutturale a questi atti violenti che parta dalle comunità come spazi di possibilità e che venga costruita in sinergia con le istituzioni, le scuole e le realtà sociali.